Il complesso di San Vito e Santa Lucia nasce dalla costruzione contigua di due piccole chiese, poi inglobate negli edifici comunali. Già in un diploma dell’imperatore Ottone II del gennaio 981 è citata l’esistenza dell’Ospedale di San Vito per i poveri e i pellegrini, con annesso un oratorio dedicato al santo martire, che dipendeva dal monastero benedettino dei Santi Ilario e Benedetto, sito in territorio veneziano.
Dell’antica chiesa di San Vito resta traccia nella parete orientale e nella cappella del Redentore, databile tra fine XI e inizi XII secolo. Nei secoli successivi e in particolare nella seconda metà del ‘500 l’edificio fu ampliato, anche per rispondere alla necessità di costruire i soprastanti depositi del Monte di Pietà.
Il nucleo iniziale di Santa Lucia, risalente al 1355, era costituito dalla chiesetta di Sancta Maria ad Carceres, identificabile con l’odierna cappella del Crocifisso, era addossata alla San Vito romanica e fronteggiava le antiche carceri medievali. Nel 1389 venne parzialmente demolita e conglobata nella chiesa dedicata a Santa Lucia, per ricordare l’annessione di Treviso alla Serenissima Repubblica di Venezia avvenuta proprio il 13 dicembre dell’anno precedente. L’edificio sacro si trovava al piano terra di un palazzo comunale, voluto dal podestà Marco Zeno, come si può vedere dalla pianta non tipicamente ecclesiastica che si sviluppa come un porticato o un mercato coperto.
Subito ci colpisce in questa chiesa la Cappella del Crocifisso, affrescata nella seconda metà del ‘300 da un pittore della scuola padovana di Altichiero o dall’Avanzo giovane. Il riquadro centrale segue il racconto della Passione del Vangelo di Luca; la composizione, anche dei riquadri laterali, può essere letta alla luce del Vangelo di Matteo (25, 31-46) che narra il Giudizio finale.
A partire da questa raffigurazione si ha una divisione tra il peccatore pentito, posto a lato dei “benedetti” dal Padre (vediamo Pietro, il “ladrone buono”), e il peccatore impenitente, posto a lato dei “maledetti” (vediamo Giuda, impiccato e squarciato, con i denari che brillano cadendo dalla mano, il “ladrone cattivo”). Per i carcerati l’affresco offriva una speranza, una via di redenzione, sempre possibile, attraverso il pentimento sincero, anche all’ultimo momento.
Alla parete di fondo è addossato un affresco staccato che raffigura la Madonna del pavejo (prima metà sec. XIV), con il particolare degli Angeli reggicortina dipinti da Tomaso da Modena intorno alla metà del XIV secolo. Il pavejo simboleggia l’anima, inoltre, la metamorfosi da bruco a farfalla richiama la resurrezione e la salvezza. L’inconsueta iconografia con il Bambino tra le braccia di Maria in atto di allungarsi per catturare il pavejo rappresenta quindi la possibilità di salvezza.
Altri cicli ad affresco di inizio Quattrocento, su alcune campate delle navate, illustrano la Vita di sant’Antonio Abate e le Storie di san Cristoforo e san Giacomo.
Sopra alla porta che conduce in sacrestia è collocato un altorilievo particolare, una Trinità con l’Annunciazione. Rappresenta una sintesi iconografica del Credo cristiano che unisce i due dogmi fondamentali del Dio Uno e Trino e dell’incarnazione del Figlio e conseguentemente sottolinea la doppia natura umano-divina di Gesù; l’incarnazione, che si realizza con l’annunciazione a Maria, ha origine nel cuore della Trinità.
Da Santa Lucia si entra nella chiesa di San Vito attraverso la Cappella del Redentore, affrescata nella prima metà del Duecento da Ognibene da Treviso. Al centro è raffigurato Cristo Redentore con i dodici apostoli, tutti rivolti verso di lui. Cristo tiene in mano il libro, la Parola. I quattro apostoli più vicini a Gesù lo indicano, rinviano i fedeli a lui; gli altri hanno in mano alternativamente un libro o un rotolo, inviati ad annunciare la Parola nel mondo.
Sull’altare maggiore della fine del Cinquecento è presente la pala raffigurante la Madonna con il Bambino e i santi Vito, Modesto e Crescenzia (prima metà sec. XVII) attribuita a Bernardino Prudenti, pittore veneziano della cerchia di Tintoretto.
A sinistra, si può ammirare l’elegante Tabernacolo in stile gotico fiorito, datato 1363. Vi sono scolpite varie figure di santi e in particolare il volto di Cristo, che richiama il Mandilion, la reliquia del volto di Gesù, venerata nell’antichità.
L’altare a sinistra del maggiore custodisce la scultura lignea del Crocifisso, opera di Francesco Terilli (fine XVI-inizio XVII secolo).
Il soffitto della navata centrale è ornato dal grande telero seicentesco di Antonio Zanchi raffigurante l’Incoronazione della Vergine della fine del XVII secolo.
Nella controfacciata si situa l’organo settecentesco, opera di Gaetano Callido.
(Autore: Redazione Qdpnews.it)
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