Nel luminoso Duomo di Portobuffolè, dedicato a S. Marco, si ode ancora l’armonioso e delicato organo di Gaetano Callido

La chiesa di S. Marco di Portobuffolè, consacrata nel 1559, divenne subito parrocchiale per unire in una sola prebenda due curazie separate e situate fuori dal castello: la chiesa di S. Prosdocimo in borgo Rival (sottoposta alla pieve di Mansuè) e la chiesa di S. Maria nella villa di Settimo (sottoposta alla pieve di San Cassiano di Livenza). Costruita entro il castello sul sedime di una dismessa sinagoga, verrà sottoposta allo jus patronato della Magnifica Comunità di Portobuffolè, le cui adunanze per la nomina dei sacerdoti avvenivano proprio in chiesa. Provvista di coro e sagrestia (1770), all’epoca di don Caterino Checcato venne rifatta la facciata in stile gotico dall’architetto veneziano Giovanni Battista Meduna (1868), mentre all’epoca di don Egisto Ciampi venne rifatta completamente la decorazione interna dalla ditta Barbieri da San Polo di Piave (1905).

L’interno, costituito da un’unica navata piena di luce, appare “maestoso, allegro, sorridente e spazioso” (V. Andreetta). Sul settecentesco altare maggiore in stile barocco giganteggiano le statue dei santi patroni San Marco San Prosdocimo, mentre di fianco all’altare di celebrazione un crocifissoligneo di scuola tedesca del XV secolo ostenta un Cristo “severo, sereno dominatore della sofferenza e della morte” (B. Florian).

L’elegante altare laterale sinistro ospita la statua di Sant’Antonio di Padova, attribuita a Giuseppe Bernardi detto il Torretti (maestro di Antonio Canova) e caratterizzata da una raffinata e lievemente sensuale palpitazione delle superfici. La mensa a forma di tomba contiene un’urna con il corpo di un misterioso San Gervasio, donato alla città dal patrizio veneto Alessandro Cellini (1661). L’altare della Madonna del Rosario (attribuito sempre al Torretti) ospita la pala settecentesca della Visione di san Domenico, che riceve dalla Madonna il rosario e il compito di diffonderne la pratica.

Veri gioielli del duomo sono l’armonioso e delicato organo di Gaetano Callido, qui portato “per barca lungo il Livenza” (1780), il battistero cinquecentesco con copertura lignea ottagonale di fine Seicento e la pala della Madonna assunta di Francesco da Milano, commissionata da don Domenico de Carpentaris per l’altare maggiore della chiesa di S. Maria di Settimo allorché venne elevata a parrocchia (1538).

Il soffitto della navata riassume nei suoi riquadri la storia religiosa di Portobuffolè. Nella Traslazione di san Tiziano si ricorda la chiesetta costruita nel punto in cui, nel viaggio controcorrente sulla Livenza (652), approdò il corpo del penultimo vescovo di Opitergium, per poi proseguire verso Ceneda su un carro. L’immagine di San Francesco ricorda che nella chiesa di S. Maria di Settimo (demolita nel 1827) vi era un importante altare, al quale era stato legato nel 1394 il Beneficio di San Francesco, istituito da Filippo Stella da Prata, che donò un maso di 22 campi “di fertilissimo terreno”. L’immagine di San Prosdocimo ricorda una cappella de intus oppidum (attestata esistente dal 1296 al 1538) e una chiesa extra muros a Rivapiana (eretta nel 1317 da Tolberto Da Camino e demolita nel 1810). La Visione di Sant’Antonio da Padova si trova proprio in corrispondenza dell’omonimo altare, legato al nobile Lorenzo Faces. Infine la specchiatura centrale mostra L’apoteosi di San Marco, titolare del duomo e patrono della Serenissima, che ha concesso lo jus patronato alla Città di Portobuffolè, rappresentata a sua volta in elegante forma nello Stemma collocato sopra la cantoria e la porta laterale.

(Autore: Giuliano Ros)
(Foto e video: Qdpnews.it riproduzione riservata)
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