“I miei salti nel vuoto dall’Annapurna e dal vulcano peruviano El Misti”: il paraglider Claudio Mancino ricorda le sue sfide più impervie

Se il sogno di un pilota è quello di chiudere una gara ai primi posti andando veloce e raggiungendo tutti i punti prefissati precedentemente, il sogno di un paralpinista è di decollare dalla cima del monte, dopo aver raggiunto la vetta, a piedi e, sfruttando le correnti ascensionali, di spostarsi lungo la valle atterrando ancora in quota e prepararsi al bivacco per poter replicare l’impresa nuovamente il giorno seguente.

Certo c’è modo e modo di farlo: volare semplicemente scendendo dalla montagna decollando e atterrando è una cosa che possono fare tutti, per i voli più lunghi e strutturati ci vuole più esperienza.

Esperienza che Claudio Mancino, vidorese, nel corso degli anni ha raccimolato, vincendo anche diverse competizioni e ottenendo buoni risultati sia a livello regionale che nazionale, da segnalare anche un quarto posto in Brasile in una gara internazionale.

Una vita vissuta sempre al massimo tra vette, montagne e viaggi extreme in giro per il mondo.

Basti pensare alle avventure in Perù, sul vulcano El Misti (5.825 metri) situato nella zona sud del paese (nell’Arequipa) e a una delle più difficili, a detta sua: ovvero il massiccio nepalese dell’Annapurna con i suoi imperiosi 8.000 metri.

Nonostante l’evidenza lampante dei pericoli che posti come questi rappresentano, Claudio si è sempre destreggiato nella sua indole di “avventuriero”, sfidando e superando anche momenti duri, come l’Annapurna.

È stata sicuramente la mia avventura più tosta – ammette Claudio – non lo rifarei. Quelli sono stati giorni difficili ma comunque porto dentro di me un bel ricordo“.

Avventura che Qdpnews ha voluto ricordare nel dettaglio grazie ad alcuni estratti della spedizione raccontati in una specie di “diario”, gentilmente concessi da Claudio durante i fatidici giorni della scalata e del successivo lancio dall’imponente massiccio dell’Himalaya:

Nessuno di noi aveva dormito per il rumore delle raffiche del vento e delle valanghe. Salivamo con un ritmo molto lento, alcuni passi ed una sosta. La quota si fa sentire. Arrivati a circa quota 5.500, sotto la cima (5.695 m), Gli Sherpa decisero di rientrare al Campo 1 e scendere al Campo Base del Machhapuchhare.

In realtà la cresta che conduce alla cima, doveva essere assicurata da corde fisse per un centinaio di metri; il tempo era poco, le ore erano letteralmente volate, perciò la loro decisione è stata giusta.

Durante la salita le condizioni per il volo non erano buone a causa del forte vento. Dal punto dove siamo arrivati, decisi di scendere un centinaio di metri, per trovare, verso destra, un’esposizione più protetta dal vento.

Fortunatamente, arrivato sul punto di decollo, sembrava quasi nullo.

Alle ore 8 mi preparo a stendere la vela; dopo alcuni faticosi tentativi riesco a decollare.

Nella tensione del volo mi rendo conto che perdo molta quota causa l’aria rarefatta e
la vela ha poca portanza.

Ero molto preoccupato a sorvolare il ghiacciaio e la morena sassosa molto pericolosa per l’atterraggio. Scendendo, qualche grado di temperatura in più dell’aria mi crea più portanza, così posso arrivare dove avevo deciso, nei pressi del Campo Base dell’Annapurna Sud.

Tutto andava bene; volavo verso il punto che avevo individuato per l’atterraggio, che si avvicinava sempre più. Le condizioni del vento erano fortunatamente migliorate. Più di 15 minuti di volo, e le solite manovre che mi fanno planare dolcemente su un piccolo prato: quota 4.150 metri. Quasi 1.000 metri di dislivello.

Mi guardo intorno, quasi non ci credo! Ho volato in Himalaya, sopra immensi ghiacciai nel Santuario dell’Annapurna. La gioia mi assale. Essere stato il primo mi fa sognare altre eccezionali avventure!

Non posso non pensare ai momenti difficili e all’incertezza che mi assaliva (mentalmente) nei giorni prima del decollo. Ero molto insicuro, non ero me stesso, molti dubbi mi rodevano dentro; sembrava mi succedesse qualcosa di male poi mi sono accorto di avere un amico che “qualcuno” mi aveva assegnato per aiutarmi nella preparazione del volo: era il mio sherpa che camminava vicinissimo a me, mi seguiva e mi aiutava, sorrideva e mi dava tanta e poi tanta fiducia.

Solo guardarlo negli occhi sembrava che dicesse: ”vai, vola!, Andrà tutto bene” come i miei ottomila che ho scalato negli anni scorsi. Vai Claudio, vai!

Salutandolo, lo abbraccio ascoltando il cuore riferendomi che tutto andrà bene! Ho capito cosa significa essere soli nei momenti difficili. Ecco perché il mio amico Francesco mi ha parlato tanto del significato della “Cordata”.

Concentrazione, sforzo fisico e mentale per il paralpinismo sono ai massimi livelli così come la passione e il rispetto per i monti che si attraversano: tutto questo è l’abc di Claudio, il suo mondo, e nessuno glielo potrà togliere.

(Fonte: Luca Collatuzzo © Qdpnews.it).
(Foto: per gentile concessione di Claudio Mancino).
(Video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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