Nei percorsi alla ricerca dei toponimi trevigiani ci siamo ripetutamente imbattuti in antiche vie, misteriose frane, fondi rustici e corsi d’acqua più o meno noti: ebbene tutto questo sembra concentrarsi a Vazzola, comune di ottomila abitanti della cosiddetta sinistra Piave.
Una colonna romana in marmo bianco risalente al V secolo proveniente da Oderzo è il punto di partenza per la storia di un paese che, già nell’antichità classica, rappresenta un crocevia per i collegamenti del Veneto con l’attuale Friuli, il Trentino e i paesi germanici. Il selciato di Vazzola è stato calpestato, nei secoli, dai sandali dei legionari, dalle calzature dei predoni barbari, dalle suole di commercianti e zattieri che qui hanno portato prosperità e fortuna, ma anche morte e distruzione.
Attestata nel Trecento come “Lavaçola” la cittadina potrebbe mutuare il proprio toponimo dal latino labes, modificatosi nel tempo e collegato ai concetti di frana, crollo, rovina o smottamento.
Accanto a questa spiegazione, secondo alcuni poco convincente, se ne colloca un’altra che mette in relazione Vazzola e l’omonimo rio con le locuzioni lavacium, lavaciola, vaceola che a loro volta suggeriscono il risciacquo dei panni nel fiume.
In origine acquitrino e selva impenetrabile, Vazzola deve la trasformazione del proprio territorio all’opera degli agrimensori romani che mutano terreni malsani in appezzamenti coltivabili. Parallelamente alla bonifica si ampliano i collegamenti e Tezze, frazione di Vazzola, viene citata già nel IV secolo nell’Itinerario antonini antenato delle attuali carte geografiche per viaggiatori; il suo toponimo potrebbe derivare dal latino attegiae e da successivamente modificazioni dialettali nell’accezione di capanna o tettoia adibita al ricovero di attrezzi e animali.
L’altra frazione di Vazzola, Visnà, risulta legata all’etimo latino di vicinalis, forse francesizzato, che sottintende una serie di concetti quali la prossimità, la vicinanza o la pertinenza territoriale di un centro abitato.
Affascinati, ma anche un po’ storditi da tante nozioni storiche, contempliamo l’architettura del seicentesco palazzo Tiepolo nel quale cogliere la ricercatezza e il gusto della nobiltà veneziana. Da qui ci spostiamo verso il Borgo Malanotte che, nonostante l’inquietante toponimo (in realtà legato all’appellativo degli antichi possidenti, i Malanotti o Malenotti) ci regala un’atmosfera d’altri tempi. Socchiudendo gli occhi percepiamo l’indaffarato andirivieni di mercanti, soldati e artigiani che, dal Quattrocento, affollavano i portici del borgo.
Appagati da tanta bellezza solleviamo un calice di Piave Malanotte DOCG: tannico e austero, ai più esperti rivelerà inaspettate note di menta ed eucalipto; a tutti offrirà le piacevoli suggestioni di un luogo seducente e un po’ misterioso, come il suo nome.
(Fonte: Marcello Marzani © Qdpnews.it)
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