Da Arfanta a Reseretta e Resera: l’escursione ad anello che svela i borghetti dimenticati di Tarzo e gli antichi saperi sulle erbe spontanee

Mentre la primavera sboccia sulle ampie vallate della core zone delle Colline Unesco, nelle frazioni minori di Tarzo, dove la vite ha lasciato il giusto spazio alla boscaglia, crescono fiori e piante dai colori vivaci, ricche di segreti e descritte da aneddoti ormai dimenticati.

Per trovare il sentiero che permette di scorgerne il più possibile in varietà e numero bisogna partire da Arfanta, la località più elevata di Tarzo e scendere a valle verso Prapian: un anello attorno alla collina, della durata di un paio di ore, che permette di incontrare lungo il cammino le località di Reseretta e Resera, due borghetti raccolti che profumano di passato. 

Il primo tratto in discesa è asfaltato e soltanto scendendo di qualche centinaio di metri si può trovare il tragitto, in un fitto boschetto ricco di fiori ed erbe spontanee.

Con caratteristici fiori viola, facilmente riconoscibili ai margini del sentiero, la lunaria è una pianta della famiglia delle brassicacee, o crucifere: produce un frutto bianco molto particolare, una sorta di luna in foglia, e per questo veniva utilizzata in passato come ornamento o centrotavola.

Come spiega Mary di NaturalMenteGuide, le sue proprietà medicinali sono oggetto di studio contro l’Alzheimer. 

Continuando per il sentiero spunta tra le valli, all’orizzonte, la cima innevata del Pian delle Femene e si raggiunge un bivio, con un ponticello di legno e un piccolo ruscello: si tratta del Rio Paré, che confluisce nel Cervano e infine nel Monticano.

Il riferimento centrale del borghetto abitato di Reseretta è il capitello della Madonna della Salute. Marta, che abitando nei dintorni conosce al centimetro la zona, spiega che da quel punto vi sono diversi sentieri che portano a Resera, al centro di Tarzo, ai Laghi di Revine e ad altre località del vicino territorio cisonese.

Tornando all’osservazione in macro, l’aspetto botanico si rivela interessante anche sulla strada verso la sorella più grande, Resera: “I nostri nonni sapevano conoscere le piante che la primavera ci regala – afferma Paola, individuando un ciuffo di salvia dei prati – Erano integratori dell’alimentazione, un vero e proprio dono. Anche se oggi abbiamo perso questo sapere, molti chef stellati stanno cercando di riportare questa consapevolezza al suo valore originale”. 

Non tutti sanno che la salvia dei prati può essere utilizzata per aromatizzare carni e salse, ma i più creativi la usano anche per condire le insalate o, con un tocco di classe da veri maestri, per dare un tono di colore ai cubetti di ghiaccio.

Giusto qualche metro più avanti Paola descrive la piantaggine, definita anche come “pianta dei viandanti”: che, grazie alle sue proprietà lenitive, veniva utilizzata come cerotto sulle vesciche.

La polmonaria è l’ultima delle piante selvatiche che decidiamo di descrivere, ma ve ne sarebbero abbastanza da compilare un erbario: “Alcuni medici credevano nella teoria della segnatura: la polmonaria veniva così attribuita ai polmoni per via delle macchie bianche sulla superficie” spiega Paola. 

Arrivare al borgo di Resera significa attraversare magnifici quadretti di vita contadina, passando nei vicoli tra case colorate e abbellite dai murales.

La piazzetta del centro è ben conservata e c’è pure un ristorante, Da Carlo, l’unica attività sopravvissuta in paese: la chiesetta di Sant’Andrea, tradizionalmente chiamata chiesa di San Rocco, è un luogo molto sentito dalla comunità del posto, dove fino a qualche mese fa si celebravano anche cerimonie e preghiere collettive. 

Su una delle pareti laterali dell’edificio, vi è una raffigurazione in ceramica appunto di San Rocco, che viene descritto con l’iconografia classica del pellegrino.

Una zucca come borraccia, una conchiglia per abbeverarsi a fiumi e fontane e un cane: “La leggenda narra che, quando San Rocco si ammalò di peste, questo fidato animale gli portasse un tozzo di pane ogni giorno, rubandolo alle mensa dei ricchi” spiega Mary, svelando le origini del detto “bon come il can de San Rocco”.

Per concludere l’anello basta guardare in direzione Arfanta e trovare il sentiero giusto per scollinare e fare ritorno: a fianco della strada asfaltata un ampio sentiero zigzaga lungo il pendio boscoso per poi raggiungere la cima, da dove si riconosce in lontananza la chiesa e il piazzale. 

(Fonte: Luca Vecellio © Qdpnews.it).
(Foto e video: Qdpnews.it© riproduzione riservata).
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