E i soldati intonavano “Ponte de Priula”: il lato oscuro della gloria in una canzone a tanti sconosciuta

susegana

Ponte de Priula l’è un Piave streto; i ferma chi vién da Caporeto. Ponte de Priula l’è un Piave streto, i copa chi che no ga ‘l moscheto. Ponte de Priula l’è un Piave nero tuta la grava l’è un simitero. Ponte de Priula l’è un Piave amaro i fusilai butai in un maro. Ponte de Priula l’è un Piave mosso el sangue italiàn l’ha fatto rosso. Ponte de Priula sopra le porte i taca ‘l cartèl co su la morte.

In pochi sanno che nel 1920 un musicologo, a oggi rimasto anonimo, incontrò un reduce italiano della Grande Guerra che gli portò l’esperienza diretta di una canzone cantata dai soldati in trincea durante la prima guerra mondiale.

Decise quindi di trascrivere le parole di questo canto, composto da versi tristi e pieni di rabbia e dedicato a Ponte della Priula, piccolo paese che sorge sulla sponda sinistra del fiume Piave, divenuto il 12 novembre 1917 teatro di morte e di orribili crimini di guerra.

Quando il 24 ottobre 1917 le truppe italiane a Caporetto subirono la più grande disfatta della guerra e, a detta di molti, anche della storia dell’esercito italiano, il fronte si spostò proprio sul fiume Piave, a 150 chilometri di distanza.

I soldati, credute vinte e moralmente distrutte anche dagli stessi vertici dell’Esercito, opposero una tenace resistenza nei dintorni del monte Grappa, tra le rive del Brenta e del Piave, sul Montello, permettendo così di impostare una linea difensiva lungo quest’ultimo fiume e ridimensionando la battaglia a una guerra di trincea, che alla lunga favorì l’Italia.

Dopo la disfatta di Caporetto molti soldati, in preda alla rassegnazione, abbandonarono il loro moschetto, disertando di fatto la battaglia. Proprio a Ponte della Priula l’Esercito italiano formò un posto di blocco, nella sponda destra del fiume, dove quei commilitoni che, spaventati e stanchi della guerra, tentavano la fuga venivano immediatamente fucilati. I loro corpi, poi, erano gettati nel Piave.

In questo canto, inventato dai soldati in trincea, traspare lo strazio per le perdite subite e la rabbia per le sommarie fucilazioni: in molti casi il tradimento non fu ritenuto un atto di codardia, in quanto i soldati non avevano le condizioni fisiche e mentali per continuare a combattere.

Qui si rivela un’altra prospettiva dalla quale guardare la gloriosa battaglia del Piave: una pagina tragica della nostra storia nella quale il sangue italiano fu versato dagli stessi italiani.

L’anonimo narratore descrive l’orrore di queste scene con straordinaria efficacia: ogni strofa fotografa il dolore dell’arretramento del fronte, sottolineando la crudeltà delle battaglie e il numero elevato di caduti.

Alla fine della canzone viene simbolicamente attaccato un cartello sul quale è rappresentata la morte, immagini tristi che difficilmente verranno cancellate dalla nostra storia.

Sono in molti a pensare che questa canzone rappresenti la parte tragica, l’altra faccia della medaglia, della ben più nota canzone del Piave, che, d’altra parte, racconta l’onore dei soldati e il loro orgoglio in trincea.

(Fonte: Simone Masetto © Qdpnews.it).
(Video: Qdpnews.it © Riproduzione riservata).
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