Segusino, la casa della Sindica: un luogo abbandonato che racconta la storia di oltre 2 mila profughi

Sono tanti i modi di raccontare la storia di un popolo, ognuno diversamente interpretabile: gli archivi, le fotografie, la memoria orale, le lettere, i diari o le fonti monumentali.

Per rivivere l’anno della fame 1917-1918 nell’alto Trevigiano, in quest’occasione, abbiamo scelto di riscoprire la storia di un luogo: a Segusino, accanto alla canonica, c’è un edificio rosso bordeaux, residenza nobiliare in evidente abbandono, che molti chiamano “la casa della Sindica”.

Quest’immobile ha più di un secolo di vita ed è stata l’abitazione di Clelia Jagër, moglie di Beniamino Verri, sindaco di Segusino al tempo della Grande Guerra.

Perché una casa infestata dai rovi, per quanto caratteristica, è così importante? Per il semplice fatto che è il ricordo visivo di una persona e di una comunità che non ci sono più. Una donna non comune che, per quasi quindici anni, scrisse ed integrò un diario ad eterna memoria di tragici fatti comunali: l’invasione astro-tedesca, la fuga precipitosa sotto le granate, la vita da profughi, i drammi del ritorno e della ricostruzione post bellica. Una storia che fu pubblicata in un libro, insieme alla testimonianza del cappellano don Antonio Riva, nel 1983 e poi nel 2003, con il significativo monito finale della Sindica: “Preservi Iddio ogni popolo della terra dagli orrori della guerra e faccia ovunque rifiorire la santa e prospera pace”.

Clelia Jagër Verri raccontò la storia di 2 mila e 500 profughi di Segusino che, il 3 dicembre 1917, accompagnò fino a Tarzo e all’ «inospitale ed egoista» Fregona, dove i militari occupati dovettero imporre con la forza a molte famiglie locali di concedere qualche stanza ai profughi. Qui essi vissero, tra malumori ed ingiustizie, l’anno della fame in attesa della liberazione di Vittorio e della Vallata del Soligo, avvenuta il 30 ottobre 1918.

Diverso, invece, il destino degli ultimi 500 abitanti rimasti a Segusino, i quali furono allontanati il 13 dicembre 1917, festa della santa patrona, ed alloggiati, inizialmente, tra Feltrino e Bellunese, poi in Carnia, nel paese di Platischis. Una storia comunale dolorosa che 810 donne e uomini, di tutte le età, non poterono raccontare perché morti per fame, sotto le bombe o di febbre spagnola.

Fu un generoso dovere civico quello che si pose la sindica di Segusino, anche a nome del 31enne don Antonio Riva, deceduto il 2 gennaio 1919 all’ospedale di Vittorio. Oggi dovremmo essere noi a raccogliere il testimone della signora Clelia, affinché la sua antica casa possa essere tutelata alla stessa maniera del suo diario di guerra.

(Fonte: Luca Nardi © Qdpnews.it).
(Foto: per gentile concessione di Luca Nardi)
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