Sorge sul colle Castellar la chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Castello Roganzuolo, separatasi nel XIII secolo dalla pieve matrice di San Fior, con la quale era stata inclusa nei territori cenedesi concessi al patriarcato di Aquileia (1074-1818).
Originariamente dotata di tre altari, venne ampliata nel 1490, come ricorda l’iscrizione sull’architrave nella porta d’accesso laterale.
Sul campanile, ex torre del castello dei Da Camino (XII sec.), svetta la banderuola di santa Marcora, corruzione etimologica di S. Ermacora (proto-vescovo di Aquileia), riconoscibile invece in una statuetta posta in una nicchia all’esterno dell’abside.
Sopra la porta maggiore è collocata la cantoria con l’organo realizzato da Annibale Pugina (1909). Sia il battistero che le acquasantiere (con vasca baccellata all’ingresso laterale e a squame di pigna all’ingresso principale) risalgono al XVI secolo.
La prima cappella a destra ospita l’altare della Madonna Assunta con statua di S. Antonio da Padova e pala della Madonna Assunta tra i santi Rocco e Sebastiano (1605) di Francesco Frigimelica, nel cui fondale s’intravvedono le ruote di un follo.
La seconda cappella a destra, nei cui basamenti sono incisi gli stemmi del patriarca Giovanni Dolfin e del pievano Giuseppe Imberti, è dedicata alla Madonna del Rosario con pala della Madonna in gloria tra i santi Andrea, Pancrazio e Agata (1601) di Silvestro Arnosti (traslata da una diruta chiesa di S. Andrea).
Le due cappelle di sinistra, separate da un’elegante colonna in pietra con incise le sigle dei pievani Benhaver Tirindelli e Giovanni Battista Salatini (XVI sec.), ospitano gli altari barocchi del Sacro Cuore di Gesù e dell’Immacolata Concezione (con rispettive statue), mentre sulla parete è stata posta la pala di San Nicola tra i santi Elena e Giuseppe (1605) del Frigimelica.
La terza cappella a sinistra, che riporta nei basamenti gli stemmi dei patriarchi Gerolamo Gradenigo e Giovanni Dolfin, custodisce un trittico di Silvio Sanfiori, copia novecentesca di Madonna con Bambino, San Pietro e San Paolo di Tiziano Vecellio (1549), trasferito al museo diocesano. Sulle semicolonne della cornice seicentesca campeggiano gli stemmi del patriarca Francesco Barbaro e del pievano Geronimo Grimani.
L’accesso al presbiterio è preceduto da due affreschi cinquecenteschi (Giona e Isacco) che esprimono il tema dell’obbedienza nell’Antico Testamento come allusione al mistero del Golgota.
Il tabernacolo e l’altare maggiore sono opere barocche di Vettor Franceschini (1741), mentre i seicenteschi dossali del coro risalgono alla prestigiosa bottega dei Ghirlanduzzi.
Qui Francesco da Milano ha rappresentato nel 1526 mediante tecnica a tasselli una monumentale iconografia incentrata sulle storie e sulla missione del santo patrono, occupando il sottarco gotico (Le vergini sagge e le vergini stolte), la volta (Trasfigurazione, Cristo e l’adultera, Decapitazione del Battista, Cena in casa di Simone, Tetramorfo e Dottori della Chiesa), la parete sinistra (Apparizione di Pietro e Paolo ad Attila), la parete destra (Caduta di Simon Mago, Martirio di Pietro e Paolo) e la parete di fondo (Predica di Pietro, Pietro guarisce con la propria ombra, Torre con Padre Eterno in Gloria, Consegna delle chiavi e Pesca miracolosa).
Il leit-motiv delle due chiavi di S. Pietro (simbolo di scienza e potenza) ricorre sull’architrave del portale laterale, sul paliotto dell’altare maggiore e nel clipeo al centro della volta a crociera, ove sono scolpite su sfondo azzurro contornato da un cerchio dorato (simbolo dell’eternità).
(Fonte: Giuliano Ros).
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