Scivolare dentro una delle miniere che si nascondono tra i costoni di Refrontolo in zona Molinetto significa ripercorrere il passato di quegli uomini che un tempo lavoravano nell’estrazione mineraria: un lavoro estremamente duro che però rappresentava una delle poche opportunità di impiego per la gente del posto.
È una storia che in pochi conoscono, perché lo sfruttamento dei giacimenti è avvenuto in periodi relativamente brevi e si potrebbe dire sempre in modalità emergenziale, prima nel 1866 e poi durante i due conflitti mondiali.
Le ultime testimonianze si sono spente qualche anno fa, ma c’è chi, come il signor Celeste Da Lozzo, si è dato da fare per ricostruire le vicende con precisione.
Recandosi in zona Molinetto, ai piedi della Croda del Mus (la cui storia verrà raccontata in un servizio dedicato) e del colle dove sorge la Chiesetta di San Zuanet, ci si imbatte in uno scavo nella roccia: si tratta di quella che è stata la polveriera, primo indizio per raggiungere la cava nascosta nella boscaglia.
L’entrata del cunicolo sotterraneo è stretta e a volte fangosa ma all’inizio l’altezza è sufficiente per riuscire a stare in piedi: il soffitto si abbassa via via che ci si inoltra nelle profondità della roccia (nel servizio video, maggiori informazioni sull’esplorazione della grotta).
L’attività di estrazione mineraria in queste zone inizia nel lontano 1866, sotto dominio austriaco.
L’Impero voleva dar vita un’autarchia e, per farlo, doveva trovare nuove fonti da cui attingere per ottenere del combustibile: la dorsale di conglomerato che collega Vittorio Veneto a Monfumo, formatosi circa dieci milioni di anni fa, poteva diventare una risorsa.
Prima della guerra, nel 1936, fu il colosso Carbonsarda, dalla Sardegna, a ottenere le concessioni statali per poter fare dei sondaggi e capire l’entità del giacimento. Installarono un impianto per avere della corrente e un sistema di decauville.
Nel ’41, in tempo di guerra, subentrò la Marnati&Larizza di Castelfranco: la ditta produceva anche materiale bellico ed era interessata all’estrazione di carbone. Una parte di questo andava a San Giovanni di Valdobbiadene a bordo di un carro con due vecchi buoi o cavalli: un aneddoto vuole che gli animali fossero così ben addestrati che pare non servisse nemmeno il conducente per condurli a destinazione.
La ditta Sbardella, guidate dall’omonimo geometra, che morì in un incidente d’auto poco dopo, subentrò nel ’46, con i confini aperti e l’economia in netta ripartenza, l’interesse nei confronti di questo settore si spense del tutto.
Queste grandi imprese, per non dover assumere i minatori, avevano fatto in modo che si creassero delle cooperative di quelli che oggi chiameremmo “liberi professionisti”, una per tutte la Cooperativa Molinetto.
In effetti, quello in miniera era un lavoro estremamente pericoloso: Girolamo “Momi” Morgan, Filippo “Nino” Soldan e Tarcisio Moschetta vi lasciarono la pelle. Quando le attività cessarono, molti minatori si trasferirono da soli o con la famiglia in Sardegna.
La durata della giornata di lavoro del minatore dipendeva da molti fattori, ma le ore rapportate allo sforzo erano sempre tantissime.
I momenti di sollievo erano soltanto due: il pranzo, quando le mogli salivano alla miniera con i pentolini, e alla sera, quando ci si trovava alla frasca del Molinetto della Croda per bere un bicchiere di vino o fare una partita a bocce.
Gli uomini indossavano indumenti non idonei, avevano al massimo degli scarponi ed erano sottoposti a un livello di umidità costante. Anche le ferrovie decauville non erano sempre efficienti: il freno era rudimentale e non funzionava bene sulle discese più rapide, spesso quindi il vagone deragliava fuori dai binari. Nei pressi della Croda del Mus è ancora visibile un basamento, segno che in quel punto arrivava una funivia.
La testimonianza dei minatori raccolta dal signor Da Lozzo suggerisce come, sebbene in modo frammentato, il severo mondo delle miniere abbia interessato anche il Quartier del Piave: all’interno delle gallerie si può percepire come gli uomini cercarono per pochi, vitali, denari di plasmare la roccia e come invece per la natura l’approccio al cambiamento sia più lento e, come vedremo nel caso della prossima grotta di Refrontolo, anche davvero spettacolare.
(Fonte: Luca Vecellio © Qdpnews.it).
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