“Grazie Italia, grazie Pederobba”: la storia di Le Thi Thu Thu, profuga del Vietnam fuggita con la famiglia dalla violenza del regime comunista

I terribili ricordi degli anni dell’occupazione comunista sono ancora vivi nella mente e nel cuore di Le Thi Thu Thu, profuga vietnamita che risiede in Italia dal 1983.

Da anni la donna abita a Pederobba, il paese ai piedi del Monfenera che l’ha accolta e nel quale ha conosciuto e sposato Luciano Facchin, padre dei suoi due figli.

Thu Thu è grata al dottor Sartorello, alla Caritas locale e al “popolo pederobbese” per quello che hanno fatto per lei e per la sua famiglia, ed è orgogliosa nel raccontare che i suoi fratelli in Italia hanno avuto la possibilità di studiare e di laurearsi per costruire un futuro migliore.

“Ho un amore immenso per la comunità di Pederobba – afferma -, non posso dire nient’altro. Mi hanno dato una nuova vita, quella che desideravo tanto. I miei fratelli sono andati a scuola e si sono laureati, mio padre ha trovato lavoro e mia mamma si è occupata della casa. Qui, finalmente, abbiamo potuto vivere e lavorare come persone oneste e questo è molto importante”.

In Vietnam, precisamente nel Vietnam del Sud, la sua famiglia si reggeva sul lavoro del padre, che esportava alberi in Giappone.

Con l’arrivo dei comunisti del Vietnam del Nord nel 1975, purtroppo, le cose sono cambiate e il regime ha iniziato a controllare ogni aspetto della vita dei cittadini, anche quello che si metteva nel piatto, e a fare delle indagini per conoscere il passato delle persone e capire se ci fossero dei legami con il precedente governo del Vietnam del Sud, appoggiato dagli Stati Uniti.

Il mercato libero aveva cessato di esistere e tutto doveva rientrare in quello che Thu Thu ha chiamato “cooperativa del governo”, che era sotto il controllo del regime comunista.

Le violenze erano all’ordine del giorno e molte persone dovevano nascondere la loro identità, continuando a modificare i dati personali nel curriculum per paura di essere considerati degli oppositori del nuovo governo.

La gente ha iniziato a fare la spia, accusando altre persone di tradimento nei confronti del regime e segnalando perfino i propri vicini di casa; nella famiglia di Thu Thu, per sopravvivere, si è iniziato a perdere il valore dell’onestà perché dire la verità poteva rappresentare una condanna a morte.

Ad un certo punto, purtroppo, suo padre è stato costretto a nascondersi, senza poter più lavorare, perché era stato condannato a morte.

Non lavorando più, in poco tempo i soldi in casa sono terminati e la moglie ha pensato di farla finita, proponendo al marito di comprare per la sera di Capodanno del buon cibo per i bambini e di metterci dentro del veleno per porre fine a tutte le loro sofferenze.

Fortunatamente il padre si è fatto coraggio ed è uscito dal buio per cercare un’occupazione: dopo un anno di lavoro saltuario la polizia comunista lo ha arrestato con motivi sconosciuti alla famiglia.   

L’uomo è riuscito ad uscire dalla prigione con la promessa di fare la spia per il governo ma, dopo averlo fatto per un po’ di tempo, ha capito che non poteva andare avanti così ed è scappato.

Nel 1980 è riuscito a raggiungere con due figli la Malesia, dove ha incontrato un sacerdote italiano che poi li avrebbe aiutati ad arrivare in Italia nella quale, grazie al ricongiungimento famigliare, avrebbe potuto salvare in poco tempo tutti i suoi cari.

In quel periodo la sua famiglia non ha avuto notizie del congiunto per quasi un mese, e la paura era molta perché circa un milione di vietnamiti sono scappati dal loro Paese e la metà sono morti in mare.

Il padre di Thu Thu non voleva che lei e sua sorella prendessero la nave per arrivare in Malesia: nel golfo del Siam i pirati thailandesi e i pescatori, infatti, in più di un’occasione bloccavano le imbarcazioni, rendendosi protagonisti di violenze e stupri nei confronti delle donne che fuggivano dal Vietnam.

Fortunatamente lei, dopo un po’ di anni, è riuscita a raggiungere il padre e in Italia ha trovato la sua fortuna.

Nella fabbrica di occhiali dove lavorava ha incontrato il suo futuro marito, e il giorno delle nozze il signor Facchin ha indossato anche un abito tradizionale del Vietnam mentre Thu Thu era vestita di bianco, il colore della pace che finalmente aveva conquistato dopo tanto dolore.

La donna è tornata in Vietnam solo una volta: lì non aveva più niente, la sua famiglia aveva perso tutto perché costretta a cedere ogni cosa al regime per poter scappare.

La Guerra del Vietnam è una triste pagina della storia del Novecento che viene raccontata poco nelle scuole: i soldati statunitensi uccisi in quel conflitto sono stati oltre 58 mila, più di 153 mila i feriti e le ultime cifre fissano le perdite vietnamite da almeno mezzo milione fino a 4 milioni.

“Vorrei menzionare – aggiunge Thu Thu – anche le migliaia di soldati del Vietnam del Sud, che non vengono mai ricordati, che hanno perso la vita o sono stati feriti e mutilati in quel periodo. Volevo ringraziarli per il loro servizio al mio Paese, per il loro sacrificio e per il pericolo nel quale si sono trovati. Vorrei ricordare e ringraziare anche quanti, nella guerra e nel dopo guerra, hanno subìto la vendetta del governo comunista attuale con il confinamento per anni nei cosiddetti ‘campi di rieducazione’, delle carceri dove gli uomini venivano trattati peggio degli animali”.

Oltre alle perdite umane legate alla guerra, la gravità delle violenze perpetrate dal regime comunista nei mesi e negli anni successivi alla fine del conflitto è difficile da raccontare, ma la sofferenza del popolo vietnamita, parte del quale in Italia ha avuto una seconda possibilità di raggiungere la felicità, non può essere ignorata.

(Fonte: Andrea Berton © Qdpnews.it)
(Foto e video: Qdpnews.it © riproduzione riservata).
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