“Darsi sempre del tu è una finta familiarità che rischia di trasformarsi in un insulto”. Le parole di Umberto Eco ci fanno riflettere sull’uso sconsiderato che oggi facciamo del “tu”: in verità non esiste un modo giusto o sbagliato di usarlo, si tratta di fare una scelta adeguata al contesto in cui ci si trova.
Un esempio si può trovare in Dante, che per rivolgersi a personaggi autorevoli usava il “tu” ma per parlare a Beatrice usava il “voi”: questa bellezza e distinzione di formule è andata via via oscurata dall’uso maggiore del “tu”, forse riconducibile alla voglia di sentirsi giovani e di usare un linguaggio trasversale.
“È bene ricordare però – sottolinea l’esperta di Galateo Giuliana Meneghetti – che l’accoglienza e la partecipazione si fanno con le azioni, non con i pronomi”.
Il “tu” infatti si riconduce certamente agli ambienti culturali, politici, o in ambito lavorativo tra colleghi, ma con persone appena conosciute, anziane o con ruoli superiori al nostro è preferibile usare il “lei”, fino a quando questi non proporranno il passaggio al “tu”.
“Questa distinzione non è solo formale, è anche di sostanza: il “lei” permette di essere più incisivi e distaccati in ciò che stiamo dicendo” prosegue Meneghetti.
Basti pensare alla frase “Con te non ci lavoro più”: può indicare uno sfogo o un momento di disagio più o meno temporaneo. L’espressione “Con Lei non lavoro più” ha invece un valore totalmente diverso: il registro portato sul “lei” indica una consapevolezza più matura, dove si riconosce un valore semantico maggiore del pronome.
“Nonostante l’importanza di mantenere una separazione adeguata al contesto, quando ci viene chiesto di passare al tu è consigliabile accettare” spiega Giuliana, che suggerisce di non rimanere ancorati al “lei” con la scusa del “Non mi permetterei mai” perché richiama una condizione di insicurezza e sottomissione poco gradevoli.
Il “tu”, per togliere ogni dubbio, dev’essere simmetrico: non si può chiedere del “lei” e dare del “tu”, come accade in alcuni ambienti universitari o nei confronti del proprio personale di servizio: il risultato è evidenziare solo la propria presunzione.
È da ricordare anche l’esistenza del “voi”, che per quanto ci possa sembrare antiquato, rientra comunque tuttora nelle forme accettate dal Galateo.
(Fonte: Alice Zaccaron © Qdpnews.it).
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