Nella taverna della casa di Ignazio Profeta, dietro a una porta in legno sul fondo di una stanza disseminata di dettagliati oggetti in miniatura, c’è quello che lui chiama “l’Angolino dei ricordi”: si tratta di una cucina tradizionale veneta, perfettamente ricostruita nei dettagli, capace di raccontare quella vita contadina che la maggior parte dei nostri nonni riconoscerebbe facilmente.
Quasi come fosse un museo, la piccola stanza riassume quanto la cucina fosse un tempo il centro della casa, il posto dove la famiglia si riuniva sia per le faccende quotidiane sia per le ritualità e i festeggiamenti: un semplice tavolo centrale, la polenta calda nella caliera, il crepitio del fuoco nel larin e i pochi, preziosi, valori dietro ai vetri della credenza.
Quello che espone al piano di sopra e ad alcune fiere, ovvero dei particolari presepi caratterizzati da uno studio della verniciatura dei componenti e dei dettagli da lui costruiti, non sono che una minima parte dell’attività di Ignazio, che continua tutto l’anno. Da qualche anno Profeta ha raggiunto l’età pensionabile e, dopo 42 anni come dipendente, riceve ancora proposte di lavoro da aziende interessate alla sua spiccata manualità e capacità artigianale: la sua professione era legata alla verniciatura, ma anche nel ruolo di falegname sembra cavarsela più che bene.
“Quand’ero piccolo io molti anziani vivevano in una casa con queste caratteristiche – spiega Ignazio – La cucina era il centro della casa. Per economia, il fuoco si accendeva soltanto quando si doveva cucinare: alla sera ci si spostava a fare il filò, in una zona più calda e riparata. Ho cercato di ricreare tutto ciò che ricordavo, compresi gli alimenti e le parti che ho verniciato per farle sembrare in pietra”.
Per quanto riguarda i suoi presepi, esposti nel cortile per le visite degli amici, sono descritti diversi contesti, alcuni riferiti alla tradizionale casa veneta di campagna, altri con ispirazioni più legate alla montagna e, con un approccio più moderno, allo spirito natalizio. Uno di questi scenari vede la rappresentazione di un cason, una tipologia di edificio dal tetto in paglia che soltanto nei primi decenni del Novecento fu definito come un’abitazione inadatta e cominciò a scomparire. Particolari sono, oltre a dettagli come l’accetta impiantata sul cippo e una roncola ripiegabile, i carri trainati dai buoi, ricostruiti in scala in modo estremamente realistico.
Scendendo in taverna si rimane colpiti dalla quantità di oggetti e scenografie ricreate, alcune in miniatura altre in scala reale: dalla bottega del falegname a quella del calzolaio, dal “far San Martin” ovvero il giorno del trasloco, fino a soggetti religiosi, naturalistici o allegorici completi o da completare. Ignazio è anche un attento collezionista: alcuni dei materiali antichi che è riuscito a recuperare provengono dal centro ecologico vicino, come un’antica stampa dove sono illustrate le fotografie e i nomi di decine di mutilati di guerra provenienti da varie zone della Pedemontana.
“Non l’ho fatto solo per farlo vedere agli altri – spiega Ignazio – l’ho fatto per me. Quando vengo qua mi siedo al tavolo e mi ricordo di com’erano le cose quando ero bambino. Poi cerco qualcosa da aggiungere o perfezionare e mi metto a lavoro: ormai non so neanche dove mettere tutta questa roba. Se bisogna creare qualcosa, però, bisogna farla esattamente com’era perché se mai un anziano venisse qui e la guardasse, vorrei riconoscesse ogni oggetto come identico all’originale”.
(Fonte: Luca Vecellio © Qdpnews.it)
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