La zona che si incontra proseguendo dal Molinetto della Croda verso l’interno della vallata, lungo le due sponde del Lierza, divisa tra i comuni di Refrontolo, Pieve di Soligo, Tarzo e Cison di Valmarino, è capace di riassumere in meno di un chilometro quadrato il passato geologico dell’area.
Nelle viscere della grande parete dopo il ponticello, in località C. Rossi-Caneve de Ronch, celata ai visitatori poco rispettosi, giace quella che oggettivamente può essere descritta come la miniera più bella dell’Alta Marca Trevigiana, unica nelle sue candide concrezioni dipinte dalla natura come per onorare il passato lavoro dei minatori.
È curioso sapere che alcuni abitanti della zona in passato si recavano presso questo costone per raccogliere le enormi stalattiti di ghiaccio, che rimanevano per diversi giorni anche dopo le gelate: le frantumavano e le utilizzavano per conservare cibi e farne impacchi medici.
A raccontarlo sono gli anziani testimoni della vita di un tempo, persone che Celeste Da Lozzo, esperto conoscitore di questa zona, ha intervistato prima della loro scomparsa.
Un’osservazione attenta del costone e del greto del Lierza spiega la formazione dei rilievi tettonici e la presenza del carbone: dodici milioni di anni fa, la zona era una vasta laguna e il materiale arboreo in essa trasportato da potenti nubifragi, veniva man mano accumulato, protetto dall’acqua salmastra e sepolto, trasformandosi in giacimenti carboniferi nel tempo.
La roccia ha svelato i suoi segreti timidamente, nei secoli, attraverso il fenomeno dell’erosione e il risultato è stato l’interessamento dell’uomo alle risorse minerarie della zona del Molinetto in quel breve ma intenso periodo di estrazione del carbone cercando di raggiungere il filone più ricco, che si trova più a nord, dove il carbone si presenta cristallino. Qui le imprese hanno cercato di penetrare la roccia per quanto possibile più in profondità.
Nell’entrare nella miniera che si trova in prossimità dell’ansa del ruscello pare di essere ai piedi di un altare: illuminando con una torcia nell’oscurità, si scorgono subito dei gradini naturali, come ambrati, luccicanti e bagnati dalle gocce del perpetuo stillicidio.
Proseguendo, lungo le pareti si trovano intere sezioni perfettamente bianche, anch’esse caratterizzate a terra da splendidi mosaici e disegni colmi d’acqua.
A contribuire alla formazione di queste forme intrecciate è lo scioglimento della roccia, ovvero del carbonato di calcio, in bicarbonato di calcio solubile: un fenomeno dovuto all’inglobamento di anidride carbonica nell’acqua, mentre la successiva evaporazione dell’anidride fa precipitare il bicarbonato di calcio trasformandolo nuovamente in bianca concrezione calcarea.
“Approntare lo scavo di una galleria nella roccia risultava più sicuro rispetto che nel tufo – racconta Celeste Da Lozzo – Nelle gallerie dove questo non era possibile, come in una posta sulla Croda del Mus, era necessario asportare delle sezioni del fianco almeno una volta alla settimana perché la pressione del costone spingeva all’interno della galleria e la montagna “scendeva” mentre gli uomini ci lavoravano dentro”.
Questa spettacolare miniera di Cison di Valmarino non è ancora molto conosciuta nella zona e raggiungerla, attraversando il ruscello, non è ancora alla portata di tutti: nel raccontarla ai lettori di Qdpnews.it ci si augura che, in caso di una visita, essa venga trattata con il rispetto che senz’altro merita, così che anche molti altri la possano ammirare.
(Fonte: Luca Vecellio © Qdpnews.it).
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