Un nettare rosso violaceo profondo, delle origini nobili e una discendenza da dimostrare: la storia della recantina, o recaldina, è travagliata come quella di un sovrano caduto, ma ardito e desideroso di tornare al suo trono. Il nome potrebbe significare letteralmente “re della cantina” e le sue origini risalgono a quei secoli in cui nobiltà e sovranità significavano ancora qualcosa.
Oggi, impossibilitati a indicare quale sia la sorella maggiore e vera erede al trono, ci sono tre tipologie differenti iscritte al Registro nazionale della varietà della vite: recaldina (ex recantina pecolo rosso), pecolo scuro (ex recantina pecolo scuro) e recantina Doc Asolo Montello (ex recantina Forner).
Resta però una domanda: qual è la vera recantina?
Diventa per certi aspetti azzardato raccontare una storia che presenta un grande vuoto tra la fine dell’Ottocento e il Duemila e che ha una documentazione forse insufficiente a dimostrare ogni passaggio, ma la graduale riscoperta di un’eccellenza enologica, unica nel gusto, vive e ha vissuto, come vedremo, anche di questo enigma.
La scelta di focalizzare il racconto di questa rinascita su quattro principali voci narranti è dovuta al ruolo che esse hanno avuto nel ripristinare l’onore di questa varietà d’uva: in primis Franco Dalla Rosa, oggi vicesindaco di Asolo, è stato oggettivamente uno dei protagonisti per quanto riguarda il ritorno di questa varietà perduta.
La testimonianza più antica della recantina risale al 1600, in un volume in cui Giacomo Agostinetti cita e benedice “le recaldine o reccardine” per “il buon vino, il bel colore, la quantità e la serbevolezza”.
Cent’anni più tardi Zambenedetti suggerisce di “porla a dimora soltanto in collina, poiché soltanto lì dà i migliori risultati”. Alla fine dell’Ottocento Vianello e Carpené dichiarano in un importante volume ben 28 mila ettolitri all’anno di “recandino” in provincia di Treviso, di cui 800 nel distretto di Asolo. E da allora nessuna notizia.
Secondo Franco Dalla Rosa le ragioni della scomparsa delle varietà oggi considerate minori, come la recantina, la rabbiosa e la bianchetta, sono da attribuire a varie cause di natura socioeconomica, risalenti a due periodi diversi: dopo la distruzione portata in Veneto da filossera, l’oidio e la peronospora e cinquant’anni dopo con l’arrivo dell’industria, è stato riscontrato un graduale abbandono delle colline verso la pianura e, nel farlo con motivazioni fortemente economiche, nel riavvio della viticoltura sono state preferite le varietà internazionali a quelle autoctone.
Dalla Rosa aveva iniziato a studiare le varietà minori delle piante native negli anni ’70 quando ancora frequentava l’istituto Cerletti di Conegliano: il professor Bordignon l’aveva canzonato, dicendogli che ad Asolo “si innestava clinto su clinto” e lui se l’era legata al dito.
Suo padre cantava in un coro assieme a un certo Mario Pandolfo, anche chiamato Mario “Recantin”, che aveva ereditato dal suocero un vigneto antichissimo ai piedi della collina di San Martino ma sul territorio comunale di Maser, precisamente dove oggi sorge la località di Case Fregona. Piero Dalla Rosa non era molto bravo a cantare, ma trovava delizioso quel vino che Pandolfo condivideva con lui nella taverna della sua casa colonica.
A questo punto la storia incrocia quella di Gian Francesco, figlio di Mario Pandolfo: secondo i suoi studi, convalidati attraverso catasti dell’epoca, la “recantina” era già all’arrivo di suo padre un lascito antico almeno dalla fine del ‘600 e il vigneto “La Franza” di Case Fregona, a Crespignaga di Maser, era stato il possedimento di alcune famiglie veneziane.
Il documento più prezioso è una cartina ampelografica del 1874 che inquadra precisamente la situazione dei principali vigneti nel trevigiano. Prima dell’arrivo della malattia, quindi verso la fine dell’Ottocento, la produzione principale di “recantina” viene attribuita solamente a una precisa zona: Maser. Al vigneto La Franza sono presenti diverse piante risalenti a un periodo che va dagli anni ’20 agli anni ’50, alcune delle quali testate geneticamente.
Nel frattempo, a Castelcucco, la famiglia Forner aveva portato avanti la produzione di una propria varietà di “recantina” e aveva iniziato a commercializzarla chiamandola “Rosso Forner”: la varietà era stata iscritta dal Ministero al catalogo nazionale, sancendo l’originalità del loro prodotto. L’indagine genetica aveva infatti appurato che si trattava di una qualità nuova, mai registrata prima nel registro nazionale: venne scelto il nome “Recantina”. In controtendenza rispetto ad altri, i Forner avevano infatti deciso di impegnarsi nel ripristino di queste varietà ormai praticamente scomparse e l’ostinazione per la qualità del prodotto ha fatto sì che collezionassero numerosi premi in concorsi nazionali, facendo così conoscere la “recantina” anche fuori dai confini regionali. Oggi la recantina Forner è iscritta alla Doc Asolo Montello.
“Ciò che è certo è che ai Forner va il merito di aver divulgato il nome di una recantina di ottima qualità. E a dimostrarlo sono i premi collezionati nel tempo” racconta Dalla Rosa. È da aggiungere che alcune delle loro recantine si trovano a Monfumo, in località la Valle, e altre a Casella d’Asolo.
Nei primi anni 2000 l’enologo Franco Dalla Rosa, fortemente preoccupato per l’avvicinamento della flavescenza dorata, un fitoplasma molto pericoloso e distruttivo per i vigneti, portò avanti delle opere di piantumazione (circa 300 piante) e collaborò con la dottoressa Severina Cancellier, il dottor Stefano Soligo e Veneto Agricoltura per stilare uno studio delle varietà. In quest’occasione è stato verificato che alcune piante di recantina a Fonte, rilevate dallo studio della dottoressa Cancellier, venivano da materiali prelevati proprio dal vigneto “La Franza” a Crespignaga.
“Le ragioni del ritorno della recantina sono state due: – spiega l’enologo – una è la qualità intrinseca del prodotto e l’altra è che se ne sia parlato”.
È proprio con questo obiettivo che nasce il ripristino di 17 ettari della collina di San Martino, oggi sede della struttura Ca’ Recantina, nel territorio comunale di Asolo ma a pochi passi dall’antico vigneto di Case Fregona.
Voluta da un noto imprenditore trevigiano e curata Dalla Rosa, l’opera aveva l’obiettivo di pulire un fianco della collina dalla boscaglia per piantarvi un vigneto di “recantina”, nonostante l’incredibile pendenza, e costruirvi un edificio destinato al turismo.
Nell’avanzamento dei lavori la comunità denunciò con grande accanimento l’idea, credendola un irrimediabile deturpamento del paesaggio: arrivarono le ispezioni degli ambientalisti, del Wwf e si formarono comitati contrari al progetto. Una volta concluso, il lavoro finì tra le pagine delle riviste nazionali e internazionali come uno dei recuperi di biodiversità in collina migliori di sempre.
La notizia “delle recantine” si diffuse rapidamente e vari pretendenti al trono alzarono la voce: anche sul Montello c’è chi reclama questo prodotto, tra piccoli produttori e grosse aziende vinicole. Nonostante questo fu Asolo a richiedere per prima l’iscrizione alla De.Co.: l’azione scatenò una guerra mediatica tra comuni e i giornali lavorarono per settimane nel riportare le motivazioni delle varie parti, senza tuttavia scegliere un campione.
Secondo la famiglia Forner c’è anche un aspetto preoccupante del ritorno in voga della recantina: “Anche grossi produttori si stanno interessando a questa varietà – afferma Lino -, la qualità si fa in vigneto e bisogna stare molto attenti a non strafare. È un vino che ha bisogno del suo invecchiamento, che si imbottiglia e tra quattro o cinque anni se ne riparla. Ho visto già recantine in commercio della vendemmia 2020: stiamo attenti a non rovinare quello che abbiamo fatto in tutti questi anni”.
Al vigneto “La Franza”, intanto, si percepisce ancora la passione per questa variante, ereditata da Gian Francesco Pandolfo e affidata alle mani di Filippo Costa, anch’esso appassionato professionista e, nello specifico, qualificato nel riconoscere le esigenze delle “recantine”.
Il suo obiettivo, col supporto della sua famiglia, è quello di far tornare la collina di Case Fregona allo splendore di un tempo, mantenendo le vecchie vigne di recaldina (quindi pecolo rosso), ormai ultraottantenni, attraverso un metodo ancestrale: rimettendo a dimora la vite selvatica che poi viene innestata manualmente (a questo verrà dedicato un servizio più avanti).
“Io credo che alla lunga questo sacrificio mi porterà a un risultato premiante, a livello di vino” afferma Costa
Tra Maser e Castelcucco, con Asolo nel mezzo e l’eco distante del Montello, non venne mai chiarito ufficialmente chi sia venuto prima e chi dopo. D’altronde, le varianti potrebbero essere sempre state più di una: già nel 1600 venivano chiamate “recantine”, al plurale, e, sangue blu o no, al giorno d’oggi le eredi al trono sono quelle che il consumatore apprezza con maggior trasporto.
Come afferma Dalla Rosa: “Di bello c’è che da una varietà che sembrava persa, ne abbiamo guadagnate tre”.
Posate le spade, pare che tra Maser, Castelcucco e Asolo un trono per questi vini non basti: gloria ai re.
(Fonte: Luca Vecellio© Qdpnews.it)
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