Il palù, l’estrema parte del territorio di Cordignano a sud-est, è una zona quasi piatta, in aperta pianura, confinante ad ovest con Orsago, a sud-est con Gaiarine e a est con Sacile. È qui che la ricerca del Gruppo archeologico del Cenedese, in questo primo appuntamento con Qdpnews.it, parte e si sviluppa.
A fare da guida nel mondo della preistoria sono Giovani Riviera, Edoardo Rossi e Antonio Dal Cin, tre ricercatori amatoriali del gruppo, formato da più persone che settimanalmente si incontrano per approfittare di passione comune: l’archeologia.
La zona del palù è preziosissima per quanto riguarda il recupero di reperti storici e preistorici: l’area paludosa irregolare di un tempo ora si presenta come una piana, quasi priva di vegetazione arborea, solcata da reti di canali, asciutta, fertile e coltivata intensamente. Il gruppo archeologico del Cenedese è un’associazione di volontariato che si occupa della ricerca di superficie: i reperti raccolti dai soci o donati dai cittadini vengono fotografati, inventariati e consegnati al museo del Cenedese, con il quale collaborano da lungo tempo.
Per questo motivo lo strato utile per i ritrovamenti è di circa 30 centimetri e il momento migliore per iniziare la ricerca è dopo un’aratura che smuove il terreno o dopo gli acquazzoni: “Non possiamo scavare, perciò ci limitiamo a raccogliere quello che emerge dalla terra – dice Giovanni Riviera, presidente dell’associazione – Oggi siamo stati fortunati con queste selci del Neolitico, non sempre troviamo qualcosa di rilevante”.
Per quanto riguarda il genere di reperti, non si hanno notizie di ritrovamenti di materiale preistorico nelle immediate vicinanze del palù di Cordignano tranne che per materiale ceramico dell’età del Bronzo.
È necessario spingersi fino alla fascia collinare per trovare i primi insediamenti: a Conegliano sono stati trovati reperti dell’età del bronzo, soprattutto frammenti di ceramica; rinvenimenti di selce scheggiata e lavorata si hanno nella zona pedemontana di Vittorio Veneto, di probabile epoca neolitica.
“Già dal ‘79 – racconta Giovanni – è stato raccolto e catalogato molto materiale e per la maggioranza si tratta di oggetti in selce, i cui giacimenti, abbiamo scoperto, provengono direttamente dal monte Doc o Zogo, in zona Milies di Belluno”.
Questo fa capire che già a quei tempi c’era una sorta di scambio che faceva sì che i resti delle selci lavorate si trovassero in questi luoghi. Queste ultime sono una testimonianza fondamentale dei primi insediamenti umani e le tecniche lavorative utilizzate per crearle consentono di individuare diversi periodi della preistoria.
Giovanni spiega che la selce è di vari tipi: pura, chiara e traslucida con ottima scheggiatura; più scura spesso macchiata, di buona qualità; e impura con le superfici alterate per la presenza di ossidi di metalli.
Il colore è altrettanto vario: dal grigio quasi latteo fino al nero, attraverso il giallo, il verde, il marrone, il grigio scuro. La scheggiatura della selce è generalmente lamellare o a scheggia di medio spessore: “È emozionante perché possiamo notare che sugli strumenti rinvenuti o sui pezzi di scheggia tolti dal nucleo è presente il cosiddetto “colpo a conchiglia”, un classico effetto di un colpo intenzionale, fatto per ottenere una scheggia”.
Il gruppo archeologico del Cenedese invita i cittadini che hanno rinvenuto possibili oggetti storici o preistorici a farsi avanti e rivolgersi agli esperti per una catalogazione e un eventuale recupero in sicurezza. Ricorda inoltre che lo scavo è permesso solo agli enti competenti.
(Fonte: Alice Zaccaron © Qdpnews.it)
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