Quell’arma che non piaceva agli italiani e che finiva crudelmente il nemico: le mazze chiodate della Prima guerra mondiale

Racconta il professor Giancarlo Cunial, di Possagno, riportando alcune frasi del libro il “Piave Mormorava” di Franco Bandini: “Sono le cinque del mattino del 29 giugno 1916. I soldati della 21 e 22 Divisione italiana stanno ancora dormendo nelle malcomode trincee del Monte San Michele.

È l’alba, qualcuno si muove nel sonno leggero del primo mattino, mentre le sentinelle si stropicciano forte le mani, godendo del tepore di sole che il cielo presenta.

Improvvisamente dalle appena sovrastanti trincee austriache lunghi serpenti di fumo giallognolo, emessi da becchi invisibili ma sinistramente numerosi, cominciano a spingersi, col favor del vento, verso la linea italiana.

Le poche sentinelle corrono disperatamente ai grandi barattoli di latta che funzionano da improvvisati campanelli d’allarme ma il gas è più veloce di loro.

In pochi istanti, mentre il cielo schiarisce: 6.250 uomini e 182 ufficiali, prevalentemente delle due Brigate “Pisa” e “Regina” della 21° Divisione passano senza accorgersene dal sonno alla morte.

Dietro alla mortifera caligine, sbucano come fantasmi due reggimenti scelti ungheresi della 7° e 20° “Honved”: sono stati allenati ad un corso speciale di tre settimane a Krems, e ora sanno benissimo cosa devono fare.

Con le tozze mazze ferrate che recano legate al polso destro, ispezionano accuratamente ogni trincea, ogni camminamento, ogni pertugio, uccidendo senza pietà i pochissimi superstiti: nel fronte si è aperto un varco di parecchie centinaia di metri”.

Ii soldati vengono tramortiti dai gas e raggiunti dai nemici, armati di mazza ferrata, che la sbattono violentemente sulle teste inermi. Così crudelmente venivano finiti molti soldati svenuti.

Erano mazze chiodate, che usavano anche i francesi e gli inglesi, alcuni affermano che la mazza ferrata era in dotazione anche ai medici di guerra: veniva usata come ultima soluzione per i moribondi.

Tutto nasce dal fatto che l’inizio della guerra del 1914 aveva trovato gli eserciti impreparati ad affrontare la guerra di posizione in trincea, con i suoi combattimenti corpo a corpo e lotte individuali. I più tempestivi a porre rimedio alla carenza di armi furono proprio i tedeschi, che si dotarono di pugnali.

Le officine francesi erano abilissime nel trasformare i paletti in ferro per filo spinato in micidiali coltelli mentre tra gli inglesi erano diffusi i coltelli a noccoliera, di cui la ditta
Robbins di Dudley divenne la più nota produttrice.

Il primo utilizzo delle mazze sul fronte italiano sembra che sia avvenuto nel modo più crudele proprio durante la battaglia del Monte S. Michele del 29 giugno 1916 descritta da Franco Bandini, quando i reggimenti ungheresi della 7 e 20 Honved fecero uso delle mazze per finire i soldati italiani in agonia per i gas asfissianti.

Molte mazze si ispiravano ai bastoni ferrati tedeschi medievali i “morgenstern” (letteralmente “stella del mattino”), costituiti da un manico di legno con applicate all’estremità grosse punte di ferro. Alcune erano di costruzione industriale, altre di produzione artigianale, costruite nelle officine del fronte.

“Mi ha risvegliato questi ricordi una cartolina che ho trovato nel bel volume, curato da Antonio Piotto per conto del Comune di Castello di Godego, sulla storia dell’800 e del ‘900. La cartolina raffigura una “mazza ferrata adoperata dagli austriaci per finire i nostri soldati tramortiti per effetto dei gas asfissianti” dice Cunial.

Impressionante il messaggio che viene diffuso: “I bimbi d’Italia cresciuti alla Scuola dell’Amore sappiano che santo è l’odio per i barbari che calpestano la Civiltà”.

(Fonte e foto: armigeri del Piave – Giancarlo Cunial).
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