Giovanna Rita Parolin è una delle ultime sopravvissute al ciclone del 24 luglio 1930, che devastò parte della provincia di Treviso, causando 24 vittime e danni gravissimi agli edifici, compresa la chiesa parrocchiale di Selva, letteralmente sventrata dalla forza del turbine.
Nata a Volpago nel 1921, Rita ha appena passato il secolo di vita ed oggi vive con una delle figlie a Jesolo; di quei terribili minuti ha ancora un ricordo vivo e lucido.
“Quel pomeriggio faceva caldo ed eravamo con mia mamma Giuseppina nel bosco a cercare funghi – ricorda la donna -. Ne avevamo trovati molti, specialmente porcini, che era destinati al conte Gasparini. All’improvviso si è alzato un vento molto forte, che creava vari mulinelli e che spostava gli alberi, alzava foglie, rami e polvere; era strano, perché poco prima e poco dopo c’era il sole. Dal conte non ci siamo più andati perché i detriti ostruivano le strade e poi perché ci era arrivata voce che fosse stata colpito qualcuno della nostra famiglia in via Castella e che potevano esserci delle vittime”.
“Due bimbe, Norma e Ada, si sono salvate protette da una trave che era caduta, altre due loro sorelline, che invece erano col padre, non ce l’hanno fatta – afferma la signora Giovanna Rita -. Nessuno si sarebbe mai aspettato una cosa del genere“.
Seconda di sei fratelli (la primogenita Elsa, poi Gino, Mario, Maria e Fernanda), Rita dal 1933 ha fatto la bambinaia presso una famiglia residente a Venezia, ma con origini volpaghesi. Poco tempo dopo compì con la famiglia ed altri cittadini italiani un mese di viaggio in nave per arrivare in Libia, dove rimase tra il 1937 e il 1938 in uno dei centri agricoli costruiti dal regime fascista, il cosiddetto “Michele Bianchi” in località al-Zahra (letteralmente “Azzurra”) nella provincia di Tripoli.
A Treviso conobbe il futuro marito Giovanni, originario di Visnadello di Spresiano, impiegato come carpentiere nelle Ferrovie, che sposò nel 1944 e con cui visse a Lovadina.
Del ciclone del 1930 si è occupato anche il nipote di Rita, Marino Parolin, che nel 2015 ha realizzato un documentario assieme al regista Carlo Bazan e grazie al quale è potuta emergere anche questa testimonianza diretta.
(Fonte: Mirco Cavallin© Qdpnews.it)
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